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L’arte e la cultura sono da tempo riconosciute come potenti strumenti per promuovere la sostenibilità sociale: attraverso la loro capacità di ispirare, educare e unire le persone, i beni artistici e le iniziative culturali hanno il potere di stimolare il cambiamento sociale e ambientale. Questo importante concetto è il presupposto di fondo da cui nasce l’ “European Art Assets Observatory” di ITIR – Università di Pavia, insieme ad ARTE Generali, Banca Generali e Deloitte Private.
Queste risorse non solo arricchiscono il tessuto culturale delle nostre società, ma giocano anche un ruolo cruciale nell’affrontare questioni globali come la povertà, l’istruzione e l’uguaglianza.
Un approfondimento su questo tema lo troviamo nel recente report di Deloitte Art & Finance Report 2023 – 8th edition, che fornisce una prospettiva approfondita su come questi elementi possono essere efficacemente utilizzati per promuovere la sostenibilità. Presentato il 21 novembre, il report esplora il ruolo dei beni artistici e delle iniziative culturali nel contesto più ampio della sostenibilità sociale.
Siamo orgogliosi di annunciare che anche ITIR, in collaborazione con ARTE Generali, Banca Generali e Deloitte Private ha contribuito a questo studio con una ricerca preliminare su 24 entità del settore, Art assets and cultural initiatives as a driver for social sustainability: questo lavoro verrà ampliato a gennaio 2024, coinvolgendo ulteriori realtà.
Per approfondire questo tema, abbiamo il piacere di ospitare sulla nostra pagina Italo Carli, Head of ARTE Generali Italy: ecco cosa ci ha raccontato per aiutarci a comprendere meglio questa importante risorsa strategica nell’ambito della sostenibilità sociale.
Dott. Carli, grazie per il suo tempo e la sua disponibilità per quest’intervista. Partiamo dall’inizio. Questa ricerca appare colmare un vuoto piuttosto significativo in questo settore. Com’è nata l’intuizione di esplorare questo tema?
ARTE Generali, Banca Generali e Deloitte Private hanno unito le proprie competenze per istituire l’osservatorio con ITIR – Università di Pavia, un’iniziativa finalizzata ad approfondire il legame tra le collezioni d’arte, la sostenibilità e l’impatto sociale. Questo studio si basa sul quadro di riferimento delineato dall’iniziativa “Culture 2030” promossa dell’UNESCO.
Negli ultimi decenni sempre più imprese di grandi dimensioni hanno iniziato a investire nell’arte, acquistando opere per arricchire la propria identità aziendale e promuovere l’arte del proprio Paese e internazionale.
Dagli anni 2000, abbiamo visto molte corporate collection italiane consolidarsi e ampliare la loro presenza nel mondo dell’arte contemporanea. Le aziende hanno infatti iniziato ad adottare una prospettiva più strategica sull’acquisizione e gestione d’arte, collaborando con istituzioni culturali per organizzare mostre e eventi, e promuovendo artisti emergenti e consolidati.
Negli ultimi anni, molte corporate collection italiane hanno continuato a evolversi, adottando approcci più inclusivi e sostenendo artisti che affrontano temi sociali e ambientali. Alcune aziende hanno integrato le loro collezioni nell’ambito di progetti di responsabilità sociale, sostenendo progetti culturali nelle comunità locali.
Da un lato osserviamo questo fenomeno di evoluzione intrinseca, dall’altro esiste una forte spinta da parte delle istituzioni internazionali (es. UNESCO) ad inserire queste attività e investimenti in un modello che consenta di identificarli all’interno di una logica strutturata, per poi misurarli ed infine poterli valutare per poterli correttamente valorizzare all’interno di un bilancio di sostenibilità.
Ci è sembrato utile cercare di investigare lo stato di “consapevolezza” del mondo delle iniziative aziendali rivolte al sostegno della cultura rispetto a questo scenario di “bilancio Sociale” che potrebbe inserire le attività ed investimenti rivolti alla cultura in uno schema di riferimento economico/finanziario strutturato all’interno delle singole aziende/fondazioni.
Nella ricerca preliminare spicca un dato particolarmente interessante: ben il 78% delle realtà coinvolte nella ricerca che non stanno misurando l’impatto dei loro asset artistici e delle loro iniziative culturali hanno espresso grandissimo interesse ad approfondire questo tema, eppure le aziende che hanno già intrapreso un percorso in questo senso sono limitate. A cosa potremmo attribuire questa apparente discrepanza?
Non abbiamo ancora risposte oggettive e sono del parere che questa discrepanza ci dia degli ottimi stimoli ad analizzare ulteriormente il punto in questione.
Personalmente credo che il fenomeno sia dovuto al fatto che gli investimenti in arte e cultura siano tuttora in gran parte legati ad un aspetto emotivo, con la consapevolezza implicita di dare un contributo alla società cui si appartiene, senza peraltro cercare un preciso “ritorno” misurato con degli indicatori che raramente possono essere economici.
La Società sta rendendosi conto che gli indicatori “economici” sono sicuramente importanti, ma non gli unici ad avere rilevanza. Sono convinto che questa consapevolezza potrà convogliare nuove energie e risorse per lo sviluppo ed il sostegno di attività artistico/culturali da parte di Aziende e Fondazioni.
In secondo luogo, credo che le risposte riflettano l’attuale relativo “ distacco” tra chi gestisce ed opera nel supporto delle attività culturali in azienda e le funzioni che gestiscono la parte squisitamente economico/finanziaria ; credo che in un prossimo futuro il dialogo non possa che intensificarsi, attraverso anche un linguaggio (KPIs) che consenta una comunicazione strutturata tra le due funzioni.
I vantaggi della collezione consapevole di patrimoni artistici e del supporto di iniziative culturali, come emerge dai risultati preliminari, sono molteplici e significativi. Approfittiamo del vostro osservatorio privilegiato e della sua grande esperienza per chiederle: a che punto siamo in Italia nella comprensione di questo valore?
Direi che esiste una consapevolezza diffusa, sia per quanto riguarda gli stakeholder interni, con i relativi impatti sul senso di appartenenza e sulla creatività, che per quanto concerne l’impatto sulla Società Civile e l’effetto di comunicazione e posizionamento dell’azienda.
A questa consapevolezza fa difetto una altrettanto diffusa cultura di “misurazione “ che consenta di valutare non solo i vantaggi nelle singole aree, ma anche i possibili miglioramenti od effetti delle innovazioni.
Spostiamoci sul fronte ESG: da più parti emerge l’utilità di una comunicazione ESG capace di far emergere le realtà che effettivamente si distinguono per volontà e impatto. Il framework degli indicatori UNESCO Culture 2030 può essere un giusto punto di riferimento per chi vuole intraprendere un reale percorso di conoscenza e valorizzazione di queste risorse?
Credo possa essere un ottimo punto di partenza per stabilire un ponte nel linguaggio e nella modalità con cui si confrontano due modi di operare e di vedere la realtà: il mondo delle iniziative culturali, caratterizzato da logiche emotive e di narrazione e relativamente lontano dall´elaborazione di KPI, e un mondo invece che di mestiere deve misurare tutto e trasformare anche l’immateriale in un indicatore economico.
Gli indicatori UNESCO possono fungere da riferimento per lo sviluppo di metodologie riconosciute e strutturate che permettano in qualche modo di misurare effetti altrimenti difficili da valutare.
La ricerca, come sappiamo, è agli inizi e dovremo aspettare gennaio 2024 per ulteriori dati, anche se emerge già con una certa evidenza l’utilità di guardare a queste risorse come veri e propri “asset aziendali”: siamo di fronte ad un momento trasformativo destinato a segnare in maniera significativa il rapporto con queste risorse negli anni a venire?
Sarà certo interessante ed utile leggere con attenzione i dati definitivi della ricerca, ma credo sarà ancora più stimolante condividerli all’interno della comunità che li ha espressi.
Siamo di fronte ad una evoluzione formale delle regole di bilancio che renderanno obbligatoria per le società quotate la pubblicazione del Bilancio di Sostenibilità. Di conseguenza ci immaginiamo una spinta attiva per rendere evidente come le energie spese nel sostenere la cultura possano essere inserite nel bilancio di attività sociale, dando una maggiore consapevolezza ed evidenza all’interno dell’attività dell’azienda/fondazione.
Ringraziamo il dottor Carli per la disponibilità e le preziose informazioni condivise in questa intervista, capaci di fornire una prospettiva unica sul potenziale trasformativo dei beni artistici e delle iniziative culturali nel promuovere la sostenibilità sociale.
Avremo presto modo di condividere gli ulteriori sviluppi di questa ricerca: l’invito è a seguirci per restare al passo con questo e altri temi di rilievo, alla scoperta dell’innovazione trasformativa e del suo potenziale.